L’errore è proprio questo. Ritrovarsi alle due e mezza di notte, dopo un’intera giornata di lavoro, a riesumare dalle pieghe della memoria a breve termine tutti quei pensieri perfettamente lucidi – quelli che dicono “scrivimi!” – ignorando il loro silenzio così come li ignoro alle volte in cui affiorano senza permesso, noncuranti degli stati d’animo, del tempo costretto dalle necessità, del flusso veloce che mai la mia penna riesce ad inseguire. Eppure me lo devo, questo sforzo. Io non sono sul pianeta Trillafon. (Non più, almeno…) Io sono qui sulla Terra. E se penso di esserci capitata per caso, come tutti, ma di averla ormai scelta, mi viene da ridere – sebbene senta che mi si bagnano gli occhi. Io sono qui, sulla Terra, e la vedo per quella che è, malgrado gli Altri – quelli che sanno – mi vedano vederla distorta dalla mia lente blu. Potrei istupidirmi a spiegare come, di fatto, la mia prima e sostanziale divergenza con il mondo (e/con gli Altri) consista nell’evidenza per la quale il mondo in realtà appaia variamente colorato ma sia essenzialmente blu – e pertanto come sia la lente variopinta del mondo a far sì che gli Altri non lo vedano blu. Ma è noto come vadano a finire le cose per chi indica la luna quando gli Altri guardano il dito. Inoltre non è questo il caso. Qui si tratta di raccontare il mondo per come lo sento, dunque per come effettivamente è. E qui viene il punto – il momento – in cui ammetto di non biasimare affatto quelli che sul pianeta Trillafon sono convinti a rimanerci perchè il fatto è che non è granché accogliente la Terra, anzi, in particolar modo quando si è stati altrove pure rispetto al pianeta Trillafon, nel momento in cui si torna sulla Terra, inizia la Nausea: una Nausea terribile, permanente, a tal punto che ci si abitua presto al sapore e lo si confonde con quello della propria bocca e si finisce per sentire come un affanno totale che dal petto abbraccia lo sterno e poi tutto il corpo, articolazione dopo articolazione, fino ai capelli e alle unghia dei piedi.
Poco fa, poco prima che chiudessi il tubo, devo aver ingoiato un paio di lacrime ed è stato davvero strano perché ricordavo un sapore del tutto diverso, salato ma puro, come quello dell’acqua dei fiumiciattoli o dei piccoli laghi in prossimità del mare, invece di questo gusto amaro che all’improvviso ho sentito entrarmi in bocca, come quando dopo aver sniffato bamba dal naso scende alla gola e finalmente la senti e quasi ti disgusta. E’ lì e la riconosci. Quello è il momento in cui sale, la Nausea. C’era già prima: sostava borbottante sulla bocca dello stomaco già lo scorso venerdì sera; si è nascosta nella tasca del pigiama il sabato seguente; si è annidata nella sporcizia degli angoli sul fondo del secchio d’acqua sporca dove oggi inzuppavo e sciacquavo lo straccio; poi stasera è venuta fuori senza travestimento né invito. La sentivo brontolare di sottofondo dal centro della cassa toracica già alla prima birra poi dev’essermi come uscita dall’orecchio o da una narice ed entrata negli occhi ed ecco appiattiti tutti i colori, ecco il mondo spogliato delle sue sembianze, nudo, ed io con lui. Nuda. La Nausea è per me forse il freddo misto al profondo imbarazzo di sentirsi e sapersi nudi. E, come e più di un anno fa, è quasi il primo mese di primavera, ma qui, nella mia testa, è ancora inverno.
M. sul pianeta Terra in relazione alla Cosa Blu, pt.1
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